Nella storia del pensiero il valore della speranza non è sempre stato apprezzato, ma sicuramente da sempre se ne discute. Siano stati i miti greci o siano stati i filosofi o i teologi, ma della speranza l’uomo si è sempre occupato. In alcune dimensioni di pensiero puramente razionalista si è pensato che la speranza fosse un valore negativo, perché fondamentalmente ritenuto foriero di un atteggiamento passivo nei confronti della vita, quasi che la speranza fosse un semplice ottimistico attendere che le cose vadano meglio invece dell’impegno ad affrontare le avversità.
Forse anche per questa ragione, o per il fatto che essa nel pensiero teologico e nella dottrina cristiana fosse considerata una virtù teologale, avente quindi a che fare con la attesa escatologica e quindi poco adatta allo studio dell’immanente, anche la psicologia per lungo tempo ha ignorato l’indagine sulla speranza.
Dobbiamo attendere la fine della seconda guerra mondiale e lo sviluppo di nuovi filoni di indagine psicologica maggiormente legate agli aspetti motivazionali del comportamento umano, per iniziare a vedere la speranza come oggetto di studio e di riflessione da parte degli psicologi.
Uno degli elementi di difficoltà nello studio della Speranza è proprio la stessa sua collocazione tra le emozioni. Per molti infatti essa non può essere classificata come emozione mancando di uno dei requisiti fondamentali che caratterizzano le emozioni appunto, e cioè la attivazione neurofisiologica. La paura, la gioia, la tristezza hanno infatti caratteristiche importanti di impatto diretto sul sistema fisiologico oltre che psicologico, non sono solo dei vissuti. Che sia una emozione un sentimento od altro poco importa, perché in fondo essa è presente nell’esperienza umana fin dal suo sorgere e quindi sarebbe opportuno che la psicologia se ne occupasse.
A valorizzare il ruolo della speranza come spinta motivazionale fu Karl Menninger, uno degli psichiatri più influenti d’America nel secondo dopoguerra, che cercò di definirla come una attesa positiva, la fiducia in un buon risultato di un progetto, e ne descrisse anche il valore nella probabilità di successo di un percorso terapeutico. Infatti secondo Karl Menninger l’atteggiamento diffidente o fiducioso di un paziente rispetto al proprio percorso terapeutico è uno dei fattori predittivi di successo o di difficoltà dello stesso.
Erik Erison sottolineò il ruolo che la speranza gioca nell’evoluzione del bambino e nella formazione del Sè, come la più importante qualità che accompagna la spinta evolutiva del bambino alla ricerca di una esperienza positiva di fiducia e di accettazione.
Erikson intuì, oltre alla dimensione evolutiva della speranza, anche la dimensione cognitiva e motivazionale di questa virtù, legata al raggiungimento dei propri obiettivi e nutrimento della propria autoefficacia e autostima.
Su queste stesse linee si colloca anche lo studio di E.Fromm, psicanalista e sociologo tedesco, che con i suoi lavori contribuì in modo decisivo ad abbandonare l’idea che al speranza fosse un semplice vissuto passivo e fatalista. Ho letto ” La rivoluzione della speranza” quando avevo poco più di vent’anni, ed allora mi aveva profondamente colpito, ed oggi continua ad intrigarmi profondamente. Fromm analizza proprio come la Speranza abbia agito da propulsore di sviluppo e come invece troppo spesso la mancanza di speranza accresca sul piano tanto personale quanto sociale diversi mali: la paura, l’isolamento, l’inazione, la povertà, l’indifferenza. Egli propose anche di distinguere la speranza dal desiderio, che per Fromm rimane un elemento di mera immaginazione se non di proiezione. La speranza per Fromm è invece una forza dinamica che coinvolge tutte le qualità e potenzialità della persona in funzione non solo della ideazione dei suoi obiettivi, ma anche e soprattutto nella loro possibilità di attuazione, perché attiva le capacità di pianificazione e realizzazione degli obiettivi. Una differenza molto grande con tutta la componente psicodinamica che da Freud in poi assegna al desiderio una funzione fondamentale ed imprescindibile.
Quello che però dobbiamo considerare come il padre di una Teoria della speranza è Charles Richard Snyder che con il suo gruppo di lavoro a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, elaborò in modo scientifico un pattern di concetti e di costrutti di ricerca che resero i suoi lavori universalmente riconosciuti come oramai imprescindibili nella analisi e riflessione sulla speranza. Egli infatti costruì non solo una riflessione, ma elaborò strumenti di verifica empirica attraverso le sue Scale di valutazione della speranza per adulti e per bambini (AHS e CHS) che rappresentano ancora degli ottimi strumenti per rendere misurabile e verificabile l’attivazione o meno della speranza nella vicenda di ogni persona.
Egli declina la Speranza come costrutto multidimensionale, cui confluiscono tre caratteristiche determinanti: la percezione della propria capacità di prefigurare le mete da perseguire (goals), i percorsi cognitivi da utilizzare nel conseguirle (pathways) e la capacità di produrre l’energia mentale interiore che attiva, orienta e mantiene il soggetto verso tali finalità desiderate (agency). Egli scrive:
“La Speranza è uno stato motivazionale positivo che si basa sull’interazione tra il senso di successo nel produrre i percorsi cognitivi o le strategie cognitive da utilizzare nel conseguire un determinato fine desiderato e il senso di successo nel produrre l’energia mentale nell’utilizzare tali percorsi o strategie per realizzare la finalità desiderata.”
Secondo Snyder, ciascuno di noi è intrinsecamente orientato alla finalità nei confronti del futuro, e cosa sia questa apertura alla finalità può essere in effetti dirimente per riconoscere l’atteggiamento verso la vita.
L’orientamento alla finalità, la teleologia intrinseca all’umano, implica anche la possibilità o meno di raggiungere le proprie mete. Ecco perché la speranza non è una semplice aspettativa positiva.
Una aspettativa positiva infatti è legata ad una valutazione di variabili positive e negative in una situazione data e quindi sulla previsione di realizzare quelle positive. Se però queste non si realizzano allora cadiamo nella delusione, nella attesa frustrata, da cui potremmo rischiare anche di precipitare nel baratro della disperazione.
Dal punto di vista psicologico per alcuni queste sono le premesse per avvitarsi nella spirale della depressione.
L’attesa positiva, insomma pur essendo forte di una previsione alta e di un certo grado di controllo sulla realtà non la può in tutto determinare e ciò può rendere catastrofico l’insuccesso. La speranza invece può convivere anche con le situazioni più negative e permettere di individuare obiettivi positivi e di riscatto assai motivanti e perciò capaci di successo.
Snyder considerò e provò che i soggetti con un alto indice di speranza reagiscono agli impedimenti in una maniera diversa da coloro con un basso indice, infatti, essi tendono a vedere gli ostacoli o le avversità come sfide da superare ed utilizzano li loro capacità di pianificazione per ideare strategie nuove e alternative di ottenimento dell’obiettivo.
Infine secondo la Teoria della Speranza, si deve considerare una componente motivazionale che per Snyder si potrebbe rappresentare come l’energia mentale necessaria per avviare utilizzare e sostenere l’attuazione delle strategie verso la finalità prefigurata. Quindi, é l’elemento che orienta l’azione verso la meta, aiuta a persistere nello sforzo e a mantenere la direzione in vista del traguardo, controllando tutti gli altri elementi che possono distogliere dallo sforzo.
A seguito delle ricerche e delle possibilità di indagine che la teoria della speranza ed il gruppo di lavoro di Snyder ha prodotto, si sono sviluppate molte ricerche che hanno evidenziato una serie di riscontri positivi alle intuizioni iniziali ed allargato la base applicazione delle stesse.
In particolare la ricerca si è concentrata sul ruolo della speranza di fronte a diverse situazioni avverse e alle strategie di adattamento messe in atto dalle persone. Le diverse ricerche hanno dimostrato perciò che in soggetti in salute, come in soggetti con malattie fisiche severe, la presenza di Speranza è correlata a un miglior funzionamento psicosociale, ad una maggiore capacità di resistenza ad eventi stressanti ed alla elaborazione di più strategie di coping funzionali a gestire lo stress preservando così il proprio benessere psicologico; in genere ad una maggiore soddisfazione per la vita, considerazione del proprio benessere, e della migliore qualità di vita
Avendo a che fare molto con l’aspetto motivazionale la speranza è stata studiata anche nel campo dello sviluppo delle skill funzionali al successo professionale e si è quindi verificato che avere speranza ha delle conseguenze positive sull’individuo, quali la possibilità di provare emozioni positive, allenare il pensiero ad elaborare diverse strategie guadagnando in flessibilità e capacità di problem solving; si è visto anche che avere fiducia nella proprie capacità, anche quando ci si presentano delle difficoltà o contrarietà, permette di ottenere maggiore simpatia e supporto sociale proprio perché un atteggiamento positivo è più gradito.
Avere speranza costituisce però un traguardo emozionale piuttosto complesso, non si tratta di una predisposizione; come proprio Snyder ci sollecita, la speranza è frutto di una coltivazione, cioè per renderla disponibile in quantità nella nostra vita essa va fatta crescere, nutrita e protetta, non dispersa.
Gli elementi per mantenere e far crescere la speranza dunque si muovono sia sul piano cognitivo che emotivo che motivazionale. Bisogna imparare a vagliare i propri pensieri, a scegliere quelli positivi, flessibili, a tenere l’orizzonte aperto e fissare obiettivi e strategie raggiungibili ma progressive, in modo da implementare i risultati sul piano della propria autostima ed autoefficacia.
Insomma essere persone capaci di speranza, tutto sembra meno che un’attesa passiva di un mondo migliore, per questo forse è proprio una virtù, l’esito cioè di un lavoro intenso e profondo su di sé.
Bibliografia consultata
- M. SZCZEŚNIAK, L. M. NDERI,Imparare a Sperare. La prospettiva psicologica di Richard Snyder in ” Rivista di Scienze dell’educazione”5/2010
- Il costrutto di speranza: quale ruolo nei percorsi di cura? di Roberta Casadio https://www.stateofmind.it/2016/09/speranza-percorsi-cura/
- Erik Fromm “La rivoluzione della Speranza” Etas Universale 1979