Hans Selye (1907-1982) definì lo stress come la risposta non specifica dell’organismo a qualsiasi pressione o richiesta, intendendo con organismo l’intero sistema mente-corpo. In sostanza ad uno stimolo esterno considerato stressor, l’organismo reagisce in modo non adeguato e produce un vissuto di stress.

 Ci sono tante ragioni, alcune legate alla nostra società ed alcune al nostro modo di pensare alla nostra mente, che è una macchina meravigliosa ma che può anche trarci in inganno.

Questo è uno dei prodotti più deleteri della nostra società e di alcune delle caratteristiche che la rendono così fortemente stresssogena. Studi e indagini, comprovati anche dai rapporti sulla salute globale elaborati dall’OMS, concordano nel definire alcuni elementi peculiari della nostra società come elementi fortemente determinanti nella generazione dello stress che è oramai una condizione di patologia diffusa della nostra società.

  • Iperconnessione 
  • Multitasking 
  • Richieste pressanti 
  • Ritmi di vita 
  • Stili di vita 
  • Conflitti 
  • Preoccupazioni economiche 
  • Frustrazioni lavorative 
  • Problemi di salute 
  • Traffico… 

Questi elementi concorrono a renderci consapevoli, forse, che se non governate adeguatamente certe conquiste raggiunte ad uno strepitoso sviluppo tecnologico, non rappresentano sempre un accrescimento della nostra qualità della vita.

L’iperconnessione che ci permette molte esperienze, contatti ed opportunità, per converso non ci permette di staccare realmente la spina e di vivere pienamente il presente:

Ovunque siamo, è come se non ci fossimo, più preoccupati di rappresentarci che di esistere, lavoriamo in posti che non sono adeguati al lavoro, portiamo il lavoro in luoghi che sono deputati alla vita privata, viviamo in pubblico la vita privata…

Questa iper-esposizione, la costruzione e la difesa di reputazione e identità digitali può farci perdere il contatto con la realtà 

Le nuove tecnologie sviluppano dipendenza, sono molto spesso costruite per richiamarci, per costringerci alla connessione (pensate al meccanismo delle notifiche) al gioco, al social, al lavoro…

Il multitasking riduce la produttività del 40%.

Si lavora di più e si produce di meno.

La multi processualità umana porta ad una dispersione di concentrazione e di energia non auspicabile per il benessere della persona e degli stessi processi produttivi.

Questa esasperazione della richiesta di performance della mente dettate da un errato pregiudizio sulla produttività che le ricerche come si è detto smentiscono, porta a generare un asset produttivo ed operativo in genere che ritiene efficiente passare da una cosa all’altra velocemente e costantemente.

I rischi di ciò nel lavoro intellettuale sono per lo più legati alla superficialità delle produzioni, il nostro cervello infatti per passare da una cosa all’altra utilizza delle scorciatoie di pensiero, perdendo un sacco di informazioni, perché è costantemente portato a dover decidere se una cosa è importante o meno, se un certo risultato è apprezzabile o meno, se una soluzione va usata o meno.

Anche nel lavoro manuale questo tipo di richiesta pressante legata alla velocità ed alla multifunzionalità operativa porta a gravi conseguenze, ovvero alla perdita di consapevolezza dei rischi personali professionali di salute e di risultato di certe superficiali “disattenzioni” La percentuale di incidenti sul lavoro, di piccola entità, ma di grande impatto sociale sulla disabilità successiva, è esorbitante. Ovviamente più nascosta della più drammatica e tendenzialmente quasi immodificabile percentuale di mortalità del lavoro.

Se a questa aggiungiamo la totalmente ignorata quantità di infortuni domestici che si assommano al tasso di inabilità da micro-infortunistica del lavoro il quadro è sconfortante.

Ovvero traducendo questi dati nel contesto del nostro ragionamento, essere iperconnessi, cioè costantemente agganciati a qualche cosa che non è presente a noi stessi, l’essere sempre tesi a non vivere ciò che accade, ma a renderlo funzionale ad altro, che se non si realizza ci genera dolore o frustrazione, in realtà ci rende “distratti” e in questa condizione di disattenzione, mascherata da impegno costante, facilmente incappiamo nell’errore nell’incidente, nell’infortunio.

Questi sono elementi visibili del decadimento della nostra qualità di vita ma ci sono dei danni maggiori e più profondi che riguardano la struttura del nostro cervello ed il rapporto complesso tra mente e corpo.

Lo Stress: reazioni fisiologiche e mentali 

Il nostro corpo reagisce allo stress innescando una serie di risposte fisiologiche che derivano dall’evoluzione della nostra specie, producendo ormoni e neurotrasmettitori specifici: 

  • l’Epinefrina (o adrenalina), che insieme alla norepinefrina, sono neurotrasmettitori che hanno il compito di attivare una riposta immediata e veloce dell’organismo preparandolo per grandi sforzi fisici; 
  • il Cortisolo è l’ormone più coinvolto nella risposta allo stress che ha sostanzialmente la funzione di prelevare risorse ed energie dai vari sistemi dell’organismo e di mobilitarli in funzione della riposta a ciò che viene percepito come minaccia.

Queste risposte hanno una precisa origine antropologica, sono i precursori della risposta alla paura ed al pericolo che ci hanno permesso di sopravvivere come specie pur non avendo grandi strumenti di difesa. La reazione classica di fronte al pericolo imminente è quella di attacco, fuga o freezing (fingersi morti, paralisi). Si tratta della più ancestrale, istintiva e incontrollata risposta del nostro organismo ad uno stimolo di qualsiasi natura, percepito come minaccia.

Cosa accade al nostro corpo quando mettiamo in atto la reazione di lotta o fuga? 

  • Aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. Le arterie si restringono per aumentare la pressione del sistema e le vene si dilatano per favorire il ritorno del sangue al cuore, per garantire che i muscoli abbiano sufficiente irrorazione per entrare prontamente in azione.
  • Aumento della respirazione e apertura delle vie aeree per aumentare l’apporto di ossigeno.
  • Diminuzione dell’apporto sanguigno nel tratto digerente e ai reni, per risparmiare il sangue nei sistemi che non sono immediatamente necessari. La digestione si ferma o rallenta considerevolmente, la bocca diventa secca.
  • Aumenta il pallore, in quanto vasi che irrorano la pelle e i distretti periferici si riducono per prevenire perdite di sangue nel caso di ferite.
  • Aumento della sudorazione per regolare la temperatura corporea durante lo sforzo muscolare. I pori della pelle si aprono per fare in modo che il sudore possa irrorare la pelle e funzioni da refrigerante di un sistema surriscaldato.
  • Aumento della densità del sangue per prepararsi ad arrestare eventuali emorragie.
  • Aumento della metabolizzazione delle cellule grasse e del glucosio nel fegato, per produrre energia immediatamente disponibile.
  • Mobilitazione delle cellule immunitarie per prepararsi a combattere eventuali infezioni.

Il corpo umano, di fronte a quella che viene soggettivamente riconosciuta come una “minaccia”, innesca automaticamente la stessa reazione di allarme, anche se non esiste un pericolo di vita reale.

Il nostro sistema mente-corpo non fa nessuna distinzione tra una minaccia esterna, come potrebbe essere stata una tigre, ovvero una minaccia interna come per esempio un pensiero, un ricordo che ci disturba o una preoccupazione per il nostro futuro.

Il corpo umano non sempre riesce a capire la differenza e si attiva. Anche se queste sensazioni non provengono da elementi reali, ma da condizioni psicologiche, vengono trattate come minacce da eliminare, combattere o dalle quali fuggire.

Questi meccanismi hanno una grande efficienza fisiologica di fronte ad un pericolo imminente, essi producono un picco di attivazione a cui deve poi seguire una fase di decompressione, decongestioni e rilassamento che porta anche un certo sollievo psicologico: il famoso “scampato pericolo” di cui si può anche sorridere.

Al contrario, nei fenomeni attivati dallo stress manca la fase di scarico, manca il segnale di cessato pericolo, e quindi la mente percepisce la stessa tensione del corpo che diventa essa stessa una minaccia contro cui si attiva, aumentando o mantenendo lo stato di tensione e questo processo logora il corpo e la mente.

La pratica della consapevolezza permette di uscire da questo inganno permanente ed iniziare ad invertire la rotta dei nostri processi automatici di pensiero e di reazione.

Per questo è efficace

Francesco Milanese, classe 1960, Psicologo, Mediatore familiare, Formatore, specialista in Istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani, Mindfultrainer. Mi sono sempre occupato di educazione, famiglia, benessere della persona, conflitti e comunicazione nelle relazioni umane.

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